Quando parliamo di sessismo nei movimenti immediatamente il pensiero e la memoria corrono a i vari episodi che tutte e tuttu nella nostra vita ‘militante’ prima o poi ci siamo trovate a subire o a cui abbiamo assistito: macro e micro violenze quotidiane – fisiche, psicologiche o verbali – episodi più o meno evidenti ed eclatanti, aggressioni più o meno esplicite e ‘giustificate’.
Queste sono le prime cose che ci vengono in mente e che agiscono, tendenzialmente, a un livello individuale o comunque ristretto: una singola donna aggredita, alcune compagne sminuite e maltrattate, un ‘compagno che sbaglia’, un’assemblea dalle pratiche fastidiosamente machiste.
Ovviamente, tutte riconosciamo il portato strutturale di questi comportamenti e atteggiamenti: stiamo imparando a riconoscere la violenza anche quando la vediamo nei nostri spazi politici e ci stiamo dotando di pratiche per combatterla.
Ma c’è anche un altro aspetto del sessismo in ambito di movimento, se possibile ancora più subdolo e radicato, ossia l’attacco e la delegittimazione costante che i movimenti, le tematiche, le realtà femministe e transfemministe ricevono da chi dovrebbe essere nostro
alleato\a e complice.
Quante volte accade che le questioni di genere vengano relegate a questioni delle compagne?
Quanto spesso ci troviamo davanti a compagni/e – avuls* da qualsiasi percorso di genere – spiegarci com’è che si fa Politica con la P maiuscola?
Quante volte le pratiche nuove ed orizzontali che proviamo a costruire vengono continuamente riportate ad una prassi ortodossa del buon militante, preconfezionata da percorsi e movimenti dalle modalità machiste?
Quante volte la risoluzione dei conflitti all’interno del movimento riproduce le stesse pratiche violente, che vanno dall’invisibilizzazione allo scontro machisa tra gruppi?
Quanto spesso le soggettività femministe e transfemministe vengono schiacciate e sovradeterminate dalle logiche delle strutture organizzate, con conseguente appropriazione e strumentalizzazione delle nostre lotte?
Noi crediamo che questo avvenga talmente spesso che fatichiamo a rendercene conto, fino all’episodio dirompente che ci svela che il Re è stronzo…e a volte pure la Regina!
Crediamo fortemente nei percorsi non identitari, nei quali ci si metta in discussione e si arricchisca il proprio agire a partire da sé e dall’autocritica collettiva. Percorsi come Non Una Di Meno che ci costringono a confrontarci sulle nostre differenti visioni e a
riconoscere le oppressioni e i privilegi di ognun* per creare alleanze e reti.
Crediamo però che questi percorsi – femministi e transfemministi – non possano prescindere dalla de-machistizzazione delle nostre pratiche, dall’abbandono perpetuo delle modalità e delle logiche a cui siamo da sempre abituate\i. Crediamo nella centralità
di una lettura del reale femminista, transfemminista e intersezionale, che rifiuti pratiche di egemonizzazione e gerarchie delle lotte.
Non vogliamo essere un campo di battaglia per chi si rifiuta di partire da sé e vede gli spazi di movimento come un ring nel quale portare a casa il proprio ‘pezzetto’ di trofeo. Ci rifiutiamo di aderire a queste logiche, e questo è un punto politico importante. Crediamo che ognun* dovrebbe uscire da questi spazi trasformat*, pront* a cambiare idea, per crescere insieme e non con l’idea di dover far passare una propria linea preconfezionata e statica.
Ma non siamo figlie dei fiori, siamo anzi ben pronte al conflitto, dentro e fuori i nostri spazi, vogliamo contrastare chi pretende di appropriarsi superficialmente dell’etichetta di femminista, transfemminista, queer senza mai mettere in discussione la propria identità e i meccanismi con cui ci si replica e riproduce politicamente secondo uno schema eteronormato e machista. Crediamo che questi siano i parametri minimi per creare fiducia e complicità in un movimento femminista e transfemminista, per stringere alleanze, per essere complici e solidali. Siamo stanche di essere ancora delegittimate, manipolate e neutralizzate negli spazi di movimento, che troppo spesso ci considerano una mera quota rosa o frocia, e che quasi mai si lasciano contaminare dalle nostre pratiche e assumono le analisi di genere come fondanti del proprio discorso politico.
Crediamo che in questo momento sia fondamentale rafforzare le letture e le pratiche femministe e transfemministe e renderle attraversabili da chiunque. Dobbiamo creare spazi fisici, virtuali e mentali avulsi dalle logiche delle aree politiche predeterminate nei contenuti e nelle pratiche.
Dobbiamo autorganizzarci e rafforzare i processi di soggettivazione femminista e transfemminista, e non invece essere oggetto di teorizzazioni altrui. Le donne, le frocie, le compagne, le queer favolose non hanno bisogno dei maschi alfa che dettano la linea
politica sul mondo e sui percorsi di genere -occupando fisicamente e verbalmente i nostri spazi – senza mettere mai in discussione il proprio ruolo di potere nel mondo e negli spazi politici.
Come femministe e transfemministe non siamo un’identità o un’area monolitica e compatta, e ce lo rivendichiamo!
Questo non ci indebolisce ma potenzia le possibilità di connessione e intreccia le lotte che ognun* di noi porta avanti.
Anche noi dobbiamo continuare a praticare costantemente un’autocritica a partire dai ruoli che ci limitano, dal potere che ci tenta, e soprattutto dai nostri privilegi di persone bianche che hanno la possibilità di muoversi più o meno liberamente, che riescono più o
meno a fare i conti con la propria precarietà, cercando di ripensare i tempi e modi della militanza, creando spazi attraversabili e accoglienti che non siano escludenti anche dal punto di vista materiale per tutt* coloro che non hanno i nostri stessi privilegi.
Allo stesso modo non vogliamo essere schiacciate – come troppo spesso accade ai movimenti sociali – nelle logiche di asservimento al potere e alle istituzioni, alla logica del Padrino o del Santo Patrono, al meccanismo del favore e del compromesso o – al contrario – della dimostrazione di forza a tutti i costi, stabiliti da criteri eteromachisti e eteroparaculi.
Anche per tutto questo crediamo che spazi come le consultorie transfemministe queer possano essere luoghi – fisici e non – da cui ripartire, rafforzarsi e riconoscersi a vicenda.
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In maniera ancora embrionale nel 2012 scrivevamo così
https://affinitalibertarie.noblogs.org/antisessismo-2/ e adesso leggere queste parole scalda! <3 <3