Nelle vite queer e anche in quelle di molte e molti “eterosessuali” non eterosessisti le forme di affettività agite sono tante, diverse e im/possibili.
Molto spesso non siamo nemmeno coscienti di essere portatrici di esistenze e formazioni sociali altre, non abbiamo ancora messo in comune e dato un senso politico a tutti quei micro-scarti, a tutte quelle micro-pratiche quotidiane attraverso cui ciascuna e ciascuno di noi cerca di smarcarsi come meglio può dalla normatività insita nella versione mainstream della famiglia, ma anche della coppia e dell’amore romantico, etero o omosessuale che sia.
Pensiamo alle esperienze di intimità collettiva generate dalla sperimentazione di linguaggi post-pornografici, alle esperienze di poli-amore di tante “singole” (così vengono comunque definite), alle alleanze agite in collettivi politici, alle reti di mutualismo nate per combattere la psichiatrizzazione, ma anche semplicemente all’esperienza degli appartamenti condivisi, o ai nostri ripetuti tentativi di disinnescare, nelle relazioni sentimentiali-sessuali a due, gli automatismi e i privilegi che inevitabilmente si accompagnano a questo tipo di rapporto nella nostra cultura.
Nella ricerca sociale come nel senso comune, quando si parla di “nuove” forme di relazionalità, l’unico punto di riferimento semantico resta la coppia monogama, convivente e riproduttiva. E’ solo in rapporto ad essa che sono diventate visibili tutte le possibili “variazioni sul tema”: coppie di fatto, famiglie ricomposte, coppie che ricorrono alla procreazione assistita, famiglie omosessuali che si presentano naturalmente in forma di coppia, e meglio se con figli.
La posizione egemonica della coppia si esprime nel regime discorsivo della cultura in tutti i suoi aspetti, arte, filosofia, esperienze. Questa continua e inavvertita costruzione di “priorità” e privilegio entra nei processi di soggettivazione e performatività come riproduzione di meccanismi normativi su noi stesse e sulle altre.
La forma relazionale della “coppia” è l’unica pienamente legittimata da quel potente dispositivo di potere chiamato Ammore, propagandato, celebrato, incorporato come fonte primaria di realizzazione per l’individuo/a, un’auto-relizzazione per di più dovuta e obbligatoria, senza la quale una vita non è completa, o non si può considerare completamente adulta. Si tratta di una normatività che coinvolge ecumenicamente eterosessuali e omosessuali, e che rarissimamente viene riconosciuta e contestata.
Non a caso la retorica dell’Ammore è uno dei principali cavalli di battaglia delle politiche lbgt assimilazioniste.
In realtà, la forma sociale chiamata coppia esprime una gerarchia sociale che abbiamo già smascherato per l’Uomo e l’eterosessualità obbligatoria. E’ un’entità neutra e neutralizzante, la forma sociale per eccellenza, che non deve alcuna forma di autocoscienza a nessuno, e che si deresponsabilizza nei confronti di qualsiasi altra forma di relazione d’affetto.
Raramente chi vive in coppia si rende conto e si prende la responsabilità della propria posizione di privilegio. Le coppie sposate sono oggetto di tutta una serie di provvedimenti di protezione sociale per la “salute” o “benessere” della coppia, famiglia riproduttiva in potenza. Di fronte a questo, le coppie omo- o eterosessuali che non possono/non vogliono sposarsi si sentono giustamente marginalizzate e discriminate, ma ciò non toglie che il semplice fatto di presentarsi come coppia dia accesso a tutta una serie di privilegi informali, anche non cercati e non voluti, diffusi, impercettibili eppure molto efficaci.
Con questo non vogliamo demonizzare chi vive all’interno di geometrie affettive simili alla coppia perchè gode indirettamente di questi privilegi, ma chiediamo che si parta dal riconoscimento di questi privilegi, che oggettivamente rendono più facile la vita di chi sta in coppia e più difficile la vita di chi cerca di vivere visibilmente relazioni intime di altro tipo.
D’altro canto, è anche necessario evitare la trappola per cui a volte ci illudiamo che essere sessualmente promiscue/i significhi automaticamente esprimere chissà quale conflittualità, autorizzandoci a sentirci più “avanti” di altre (una retorica espressa in realtà sia da quelle che si sentono “avanti” che da quelle che si sentono “indietro”) . Evitiamo ogni complicità con quella retorica repressione vs. libertà, tradizione vs. modernità, sfigato vs. figo che in realtà è figlia dell’imperialismo e della società dei consumi, e rendiamoci conto che non di consumi sessuali stiamo parlando, ma della capacità di costruire legami e intimità altre.
Come soggettività e relazionalità eccentriche vogliamo darci e dare visibilità alle forme di responsabilità personale e collettiva (intese in un processo di mutua costruzione) slegate dalle forme famigliari convenzionali e promuovere la decostruzione dei privilegi e dei rapporti di potere che si esprimono attraverso le politiche e l’economia dei corpi.
Vogliamo che gli amori si ricollochino in una geometria orizzontale, invece che sottomettere la comprensione di se stessi all’esemplarità di un Ammore che spesso non rappresenta davvero il nostro spazio, i nostri desideri o benessere.
Non si tratta di distruggere e bollare come retrograda ed eteronormativa qualunque relazione intima a due, quanto di denunciare che l’Ammore non è un sentimento naturale e naturalmente buono, ma una costellazione di emozioni e di pratiche sessuali e di cura che la nostra cultura ci spinge a leggere e vivere in un certo modo, che è funzionale a precise geometrie di potere. Cercare di leggere e agire questa costellazione di emozioni in altro modo, cercare di ricombinarla non vuol dire uccidere i nostri “sentimenti”, ma anzi dare loro nuovo respiro.
Questo lavoro, però, non può restare relegato nel privato.
Del resto non è solo di sentimenti che si tratta ma di problemi e organizzazione materiale della vita: pensiamo ad esempio a come la responsabilità collettiva – sia quella statale sia quella informale – si ponga sempre come sussidiaria rispetto a quel welfare privato e assolutamente automatico che è la coppia. Un meccanismo che ci troviamo a legittimare ogni volta che non mettiamo dito tra moglie e marito, o tra moglie e moglie, o tra marito e marito, o quando ci nascondiamo dentro l’isolamento di quella forma sociale mettendo a rischio noi stesse rendendoci dipendenti da un unico immaginario possibile: il welfare di coppia.
Per non ritrovarci a rimpiangerlo di fronte alla crescente precarietà dell’esistenza (traslochi, debiti, fatica del quotidiano…), è necessario costruire nelle nostre reti le condizioni materiali e culturali per una più diffusa distribuzione del lavoro di cura non solo fra i generi, ma anche fra “interno” ed “esterno” delle relazioni intime (vedi volantino huelga de los cuidados). E il primo passo ci sembra quello di mettere in comune le esperienze.
Come colletivi e singole/i del SomMovimento nazioAnale intendiamo quindi portare avanti la pratica dell’autoinchiesta per condividere esperienze di altre intimità, sperimentazioni nella costruzione di reti di mutuo-aiuto e strategie collettive di resistenza alla precarietà.
Individuiamo nel convegno “Sfamily day” organizzato dalle Kespazio! a Roma il 25 maggio 2013 la prossima occasione di confronto, dove ci verrà la luminosa idea di organizzare una favolosa campeggia queer in Salento.
SomMovimento nazioAnale, gennaio 2013
(post incontro a Bologna del 15 dicembre 2012)