Altre intimità, precarietà e mutualismo transfemminista queer

Questo intervento è stato presentato all’incontro Tr-Amanti. Pratiche e affetti queer fra precarietà e transizioni, all’interno di De-Sidera – Festival queer organizzato da Fuxia Block/BiosLab, Padova, 23-24-25 settembre 2015.

L’autoinchiesta sulle Altre Intimità del SomMovimento NazioAnale vuole dare visibilità e senso politico a tutte quelle relazioni di affetto, cura, supporto e intimità che non riproducono il modello della coppia. Parliamo di coinquilini, amici, scopamici, di reti affettivo-politiche, o di persone che hanno relazioni affettive e sessuali profonde e che condividono molto delle loro vite ma che si sforzano attivamente di non riprodurre il modello della coppia e i suoi privilegi.
Parliamo quindi di relazioni sessuali o non sessuali, e quando si tratta di relazioni sessuali possono essere fra persone dello stesso presunto “sesso” o di sesso diverso. Relazioni a lungo termine, come quelle amicizie da una vita, o estremamente effimere. Relazioni con un alto grado di “impegno” o relazioni nelle quali ci si scambia supporto e affetto solo nel qui e ora, solo perché si è lì in quel momento, ma l’anno prossimo potremmo anche non vederci mai più (pensate ai coinquilini più improbabili con i quali non avevate niente in comune ma che comunque vi hanno salvato quando avevate la febbre a 40 o volevate sfogarvi dopo una giornata di merda).
Parliamo di esperienze che già esistono nelle nostre vite e nella società, e che di fatto rappresentano una risorsa importantissima a livello emotivo e materiale, ma che sono relegate nell’insignificanza, che vengono rappresentate come qualcosa di transitorio o di surrogato rispetto all’amore vero, alla coppia stabile che certamente un giorno arriverà a dare compimento alla nostra vita.
La coppia è un modello che disciplina fortissimamente le nostre vite. Parleremo qui quindi (1) di cos’è la coppia, (2) del perché non ci piace, (3) dov’è il valore politico delle “altre intimità”, (4) il rapporto con la precarietà e (5) relative lotte.

Cos’è la coppia

Dalla nostra esperienza e dalla nostra analisi collettiva di questa esperienza, ci sembra che a dispetto della famosa detradizionalizzaizone di cui parlano i sociologi, c’è un nocciolo duro di normatività che ancora resiste. Cioè al di là del fatto che quando non funziona più si è “liberi” di lasciarsi, mentre una volta separarsi era una faccenda molto più complicata e sanzionata socialmente, per essere una coppia normale, che si ama davvero, bisogna:
1) essere in due
2) dare la priorità al rapporto di coppia rispetto alle altre relazioni di affetto che puoi avere, cioè una cosa è la persona con cui stai, altra cosa sono gli amici, e automaticamente nella gestione del nostro tempo, delle nostre energie emotive e materiali, la persona con cui stai deve avere la priorità. Se ci pensate, una relazione che comprende il sesso, dopo due o tre mesi già inizia a prendere la priorità nella nostra vita, e lo fa in un modo un po’ automatico, perché è quello che tutti si aspettano se esci e scopi e parli con una persona da più di due-tre settimane.
3) Essere monogami o almeno desiderare di esserlo e fingere di esserlo
4) Aspirare a soddisfare se non tutti, almeno un buon 90 per cento dei bisogni emotivi dell’altra persona
5) Proiettare la relazione nel futuro, immaginare un futuro insieme.
Poi certo se si tratta di un uomo e una donna è molto più normale che due donne o due uomini o peggio due soggetti dall’identità di genere incerta. Se vivono loro due da soli sotto lo stesso tetto certo è più normale che vivere separati o vivere insieme anche con altra gente. Se la proiezione nel futuro include avere dei bambini, perfetto. Ma quelle che abbiamo descritto ci sembrano le caratteristiche basilari, il minimo sindacale dello standard “coppia”, almeno per come emerge dalla nostra autoinchiesta, negli ambienti sociali che frequentiamo noi. E ovviamente questo modo di stare insieme è considerato conseguenza naturale dell’Amore con la A maiuscola: e l’amore con la A maiuscola è considerato parte imprescindibile dell’autorealizzazione, della felicità, della completezza di una vita adulta. Ė la coppia obbligatoria, nello stesso senso dell’eterosessualità è obbligatoria.1

Perché non ci piace la coppia?

Primo perché ci rende infelici, secondo perché ci depotenzia politicamente: le due cose sono intrecciate, ma ci teniamo a dire che ci rende infelici per sottolineare che non si tratta di una critica ideologica, astratta, ma al contrario profondamente incarnata, che parte da noi, dal nostro disagio rispetto questo modello di vita.
La coppia, quando ce l’abbiamo, ci spinge a sviluppare dipendenza emotiva e a isolarci affettivamente, creando terreno fertile per piccole e grandi violenze (la maggior parte degli stupri, delle aggressioni e delle uccisioni di donne sono da parte di partner o ex partner).
Quando non ce l’abbiamo, ci fa sentire inadeguate/i e incomplete/i, e questo tra le altre cose ci rende estremamente fragili e ricattabili, impedisce di costruire soggettività capaci di opporsi anche solo un minimo alla normatività sessuale, lavorativa, esistenziale… La coppia, in quanto paradigma della privatizzazione della vita, dell’individualismo (individualismo a due, ma sempre quello è), impedisce lo sviluppo di forme di solidarietà e di collettività capaci di opporsi al neoliberismo. Infine, in quanto veicolo di privilegi (la vita di chi sta in coppia vale di più…), la coppia produce ingiustizia.

Il valore politico

Di conseguenza, decostruire la normatività della coppia e la dittatura dell’amore romantico, parlare di altre intimità, rendere visibile che c’è vita oltre la coppia, dire che non avere un partner non vuol dire per forza condurre una vita solitaria e individualista o essere figli a vita, dire che le nostre vite sono estremamente ricche di affetto, di piacere, di solidarietà, e anche di responsabilità, sebbene non codificata nei “doveri” convenzionali della famiglia nucleare o della coppia monogama totalizzante, è un atto politico. Parlarne non per idealizzare le “altre intimità” e farne un nuovo modello, ma per discuterne, per vedere cosa funziona e cosa non funziona e come possiamo farlo funzionare meglio.
E dovrebbe essere anche abbastanza chiaro a questo punto che (1) non è una questione di monogamia e non monogamia, ma qualcosa di molto più ampio, che mette in discussione la distinzione stessa fra “partner” e “il resto del mondo”, e la gerarchia di importanza automatica fra i due; (2) non è una questione di libertà o disimpegno vs. dovere e responsabilità, ma di inventare altre forme di responsabilità (3) non è una questione di stili di vita, non si tratta di affermare la legittimità di un nuovo stile di vita in nome della libertà individuale, un discorso neoliberal del tipo “se tu stai bene in una coppia normativa stacci pure, ti rispetto, ma esigo da te lo stesso rispetto per la mia vita promiscua o comunque diversa”. Il punto è che noi diamo un valore politico, di trasformazione sociale a questa vita diversa.Detto questo, non è che stiamo dicendo che chi sta in una coppia monogama eterosessuale e normale è un borghese servo del capitale e del patriarcato, e tutte/i gli altri no. In qualche misura – chi più chi meno – siamo tutti/e servi del capitale e del patriarcato, e il punto è che ciascuno/a a partire da sé può fare qualcosa per smettere di riprodurre il capitalismo e il patriarcato. È un processo, è una lotta, nessun* è mai completamente “liberat*”, ed è un processo collettivo, non è una gara a chi è più “liberat*” come individuo.

Ma è chiaro che, in parte per la nostra posizione sociale oggettiva, in parte per le nostre scelte, alcune/i di noi hanno la vita un po’ più facile di altri. Tutto questo lavoro sulle altre intimità nasce da una rete di collettivi e di singole che si riconoscono nel femminismo e nel movimento lesbico/frocio/trans (queer per usare un inglesismo) ma che è composta da persone con posizionamenti molto vari all’interno delle gerarchie di genere, sessualità, classe e quant’altro. Una collettività del genere può funzionare solo se ciascuno/a parte da sé, riconosce la parzialità del proprio posizionamento, e riconosce i privilegi che gli/le derivano anche suo malgrado dal suo posizionamento – dal suo essere cisgender, dal suo essere etero, dal suo essere più ricca di un altro o dal fatto di avere una vita affettiva che ha un’apparenza più normale di altre. E se ciascuna fa qualcosa per disinnescare, per quanto possibile, quei privilegi. Può darsi anche che tu ti sia innamorata/o di una persona dell’altro genere e che tu non abbia molta propensione a fare sesso con più di una persona e che per qualche ragione vi trovate bene a convivere nello stesso appartamento: si tratta di una condizione che implica una quantità enorme di automatismi sia dentro la relazione che nel modo in cui il resto del mondo si relaziona a voi come coppia, nel modo in cui il resto del mondo, dallo Stato ai tuoi genitori agli amici al tabaccaio sotto casa, riconoscono in questa forma di vita un valore aggiunto. Allora 1) diventane cosciente e 2) fai qualcosa per smarcarti, per inceppare questi meccanismi, per deludere le aspettative, per sottrarti a questi privilegi.
Altre intimità e precarietà

Qual’è il rapporto fra precarietà e altre intimità?
Per aiutarci a ragionare, dividiamo la questione in due piani: (1) la precarietà come causa, (2) la precarietà come effetto di relazioni affettive “non convenzionali”.
A livello di cause, la vulgata sociologico-mediatica vuole che a causa della precarietà noi “giovani” non siamo più in grado di “farci una famiglia”, che la precarietà lavorativa diventa anche precarietà affettiva. Poi c’è anche l’altra versione che dice che la società dei consumi, l’individualismo neoliberista ci spinge a cambiare partner come cambiamo cellulare ecc.
Dal nostro punto di vista, se le relazioni di coppia oggi sono meno stabili, sarà sicuramente anche per la precarietà, ma è prima di tutto perché c’è stato il femminismo e le donne non sono più disposte come un tempo a sacrificarsi per la durata di una relazione. Perché chi si sacrificava per il bene della famiglia non ce lo dimentichiamo erano e sono soprattutto le donne.
In secondo luogo la precarietà, rendendo di più difficile realizzazione il modello “lavoro-matrimonio-figli” di stampo fordista, apre delle possibilità, varie possibilità:
– una possibilità è che questo modello, pur non essendo più realizzabile se non da una esigua minoranza, continua a funzionare come orizzonte ideale, come desiderio: per cui puoi anche non sposarti mai, ma comunque vivere tutta la vita pensando che devi impegnarti, migliorarti, lavorare duro, competere per raggiungere la sospirata stabilità economica e il successo sentimentale.
– Oppure questo modello può funzionare a moduli: magari non hai una famiglia, e ti sembra difficile che ne avrai mai una, ma almeno ti devi fare il monolocale arredato con i mobili ikea nuovi per dimostrare che non sei più uno studente, che sei un adulto realizzato; oppure, non hai un lavoro stabile, ti inizia a sembrare improbabile che ne avrai mai uno, ma almeno devi avere il fidanzato andarci a convivere e magari farci un figlio prima che sia troppo tardi. Chiara Martucci e Gaia Giuliani raccontano molto bene questo nesso nel loro articolo nel libro L’amore ai tempi dello tsunami.2
– l’altra possibilità è che, dato che il modello lavoro-matrimonio-figli è quasi impossibile da realizzare o comunque non ci arrivi prima dei quarant’anni, in questo tempo si apre lo spazio per la sperimentazione di altre forme di affettività, altre forme di solidarietà alle quali possiamo scegliere di dare legittimità, senso, e farne la base per immaginare altre forme di legame sociale e per costruire una lotta.
Questo è un punto molto importante perché è l’anello di congiunzione fra altre intimità e il discorso sul neomutualismo, che è l’altro focus della riflessione e della lotta del somMovimento nazioAnale: mutualismo e auto-organizzazione di welfare dal basso non basato sulla famiglia e/o sui suoi valori (costruire welfare dal basso senza la famiglia ma comunque basandosi su valori che provengono da lì, tipo sul senso del dovere e del sacrificio e/o sullo sfruttamento del lavoro gratuito delle donne, non sarebbe un grande risultato e al tempo stesso è un grosso rischio di questa nostra enfasi sulle reti di mutualismo)
È il bisogno economico che ci spinge a condividere un appartamento fra studenti, ma da questa esperienza può nascere la capacità (e il piacere) di collettivizzare una parte più grande della nostra vita e dei nostri bisogni.
È il bisogno che ci spinge a mettere in comune una parte del nostro reddito nelle nostre reti politico-affettive, ma se tutti avessero il mutuo da pagare e i figli da campare, difficilmente sarebbero capaci di mettere in comune anche solo una piccola parte del proprio reddito, del proprio spazio domestico, delle proprie energie e del proprio tempo. Da queste esperienze possiamo imparare molto su come si possa concretamente costruire una cultura del reddito sganciata dal merito del lavoro, una cultura del “da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Veniamo ora alla precarietà come effetto. Chi vive la propria vita affettiva e sessuale in modo non normativo è molto più esposto alla povertà e alla precarietà. Diverso accesso al welfare, quello statale ma soprattutto quello familiare: se non ti riproduci e non riproduci la loro forma di vita gli aiuti che arrivano da mamma e papà sono molto più scarsi. Se non riproduci un genere normativo, le possibilità di trovare lavoro sono molto più ridotte. Ecc.

Cosa vogliamo

Quale agenda, quali rivendicazioni derivano da questa analisi? Evidentemente, il nostro obiettivo non è chiedere allo stato il riconoscimento e la tutela legale di questi rapporti affettivi così come il movimento lgbt, ma soprattutto, di fatto, lg mainstream richiede il riconoscimento delle coppie omosessuali.
E nemmeno chiediamo il riconoscimento sociale, l’approvazione della società. Quello che chiediamo non è il permesso di vivere le nostre relazioni come vogliamo, ma ciò che ci serve per poter vivere le nostre relazioni come vogliamo:
– ci serve quindi il tempo per prenderci cura di noi stesse e dei nostri cari chiunque essi siano;
– ci serve lo spazio, ovvero la casa, ci serve che le nostre energie non siano completamente mangiate dal lavoro.
– di conseguenza ci serve il reddito e, se lavoriamo, condizioni di lavoro decenti. E ci serve di creare una cultura che ammetta questo modo di vivere come possibile, che non lo rappresenti come un fallimento e un ripiego, e che produca anche il sapere esperienziale, relazionale, emotivo che ci serve a viverci queste relazioni e a farle funzionare.
Le due cose, casa-reddito e cultura, hanno pari importanza. Perchè ok vogliamo il reddito di esistenza per tutt* sganciato dal lavoro, ma per fare che? Per lavorare di meno o per lavorare di più? Per condividere o per accumulare? Vogliamo un welfare più efficiente ma per farci che? Per essere più felici e riposati quando andiamo a lavorare e quindi essere più produttivi? Per fare tante belle famiglie mononucleari che producano figlie e figli ben educati alla competizione e alla meritocrazia da spedire come carne da macello sul mercato del lavoro appena compiono 18 anni? Perchè in Francia o in Germania i sostegni al reddito e le politiche abitative, associati a una cultura che comunque valorizza il lavoro, il merito, a una cultura neoliberista, produce questo.

Seguono i nostri incompleti appunti del dibattito…

– I rapporti di potere ci sono anche nelle comunità e nelle relazioni affettive “altre”. A volte sono rapporti di potere basati esattamente su “quanto sei liberato”, ma soprattutto liberata.
È vero. Nella società neoliberista c’è un incitamento al consumo di sesso, l’idea che più scopi più sei figo, e ovviamente l’idea un po’ problematica di “liberazione sessuale” come liberazione dalla “repressione” fin dagli anni ’60 era usata dai compagni per stigmatizzare come “represse” quelle che non gliela davano. È un meccanismo che dobbiamo disinnescare. C’è da dire però che i rapporti di potere basati sulla coppia, quelli dentro la coppia e quelli fra coppia e esterno, sono dati per scontati, sono naturalizzati, invisibili, non sono autoriflessivi… Quando cerchi di fare qualcosa di diverso, bene o male, almeno rifletti su che stai facendo, o almeno, è più probabile che ci rifletti e ne discuti, che ti fai delle domande.
– Ci sono già delle esperienze di mutualismo e welfare dal basso?
Le consultorie transfemministequeer a Padova e a Bologna, per esempio.3 O alcune “casse mutue”, basate o su relazioni personali di fiducia e di conoscenza, o anche su relazioni a metà fra il personale e il politico, basate non sul principio del “ti aiuto perché ti voglio bene” (la logica della famiglia) o del “ti aiuto perché te lo meriti” ma sul “ti aiuto perché ne hai bisogno, e domani potrei averne bisogno io” (mutualismo) e sull’idea che sostenere le nostre reciproche esistenze è un modo per sostenere le nostre lotte comuni. È importante dire che queste sperimentazioni non sono e non vogliono essere sostitutive di un welfare impersonale statale di cui comunque abbiamo bisogno, perché anche uno che è antipatico a tutti e non ha amici, o che non sta in un collettivo deve poter sopravvivere, e perché non aspiriamo a sostituire ma a innovare e a guadagnare controllo sul welfare statale al quale abbiamo diritto. 4
– Faccio l’avvocato del diavolo: il reddito, la casa, sono cose che chiederemmo a prescindere, non sono rivendicazioni specifiche delle altre intimità. Non chiediamo riconoscimento, chiediamo le cose che ci servono per, che però sono le cose che chiedono anche gli altri, quindi qual’è la nostra rivendicazione…
Bisogna uscire da questa idea che il momento vero del fare politica, ciò che fa la differenza, sono le rivendicazioni che avanzi nei confronti dello stato. Il piano del diritto, il piano della governance delle vite e il piano disciplinare della costruzione della soggettività sono per così dire i tre vertici di uno stesso triangolo, non sono separati l’uno dall’altro e non ce n’è uno che è più importante degli altri.5 Chiedere il reddito per non riprodurre più la famiglia nucleare, o chiedere reddito in nome dell’autodeterminazione, è molto diverso dal chiedere il reddito parlando dei poveri giovani che non possono più farsi una famiglia o che non hanno tempo di formarsi, di fare stage e tirocini gratuiti nell’intervallo fra un lavoro e l’altro. Questo fa una differenza sostanziale.

Eh già, questo articolo aveva delle note… che sono andate perdute nel copia-incolla. Ma puoi ancora leggerle scaricando la versione stampabile della fanzine in cui questo articolo è stato pubblicato: S/COPPIA. Il librino di San Valentino.

 

 

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