8 MARZO
Scioperiamo contro la gabbia dei generi!
Il 26 novembre come favolosità transfemminista-lesbica-frocia ci siamo riversat* nella grande marea che ha inondato le strade di Roma al grido di “Non una di meno”.
Abbiamo scelto di rendere visibile la nostra rabbia e di prendere parola dentro la grande marea a partire dai nostri posizionamenti specifici, in quanto lesbiche, trans*, butch, froce, frociarole e favolosità varie. Non per relativizzare la violenza maschile contro le donne, né per aggiungere le nostre soggettività all’elenco delle “vittime” o peggio per sciogliere la denuncia della violenza di genere dentro un discorso qualunquista sulla violenza in genere. L’abbiamo fatto per rendere visibile la matrice comune della violenza che colpisce le donne e tutte quelle soggettività che si sottraggono alla norma che ci vorrebbe tutt* etero e cisgender (persone che percepiscono una concordanza tra il genere assegnato alla nascita e la propria identità di genere).
Crediamo infatti che per combattere la violenza maschile sia fondamentale decifrare la matrice comune del sistema di potere che opprime, in modi differenti ma convergenti, donne (cis e trans) e soggettività non etero e non cis e tutt* coloro che rifiutano di riprodurre la maschilità dominante.
Per fare questo è fondamentale smascherare i nessi tra eteronormatività, binarismo di sesso/genere e violenza maschile. Come abbiamo già detto nel contributo verso il 26 novembre questa violenza non è un fenomeno disfuzionale, ma un elemento strutturale di un sistema che ha alla sua radice l’eterosessualità obbligatoria e la cisnormatività.
Tale matrice produce un sistema rigidamente binario, nel quale ognun* si deve identificare nel genere assegnato alla nascita e adeguarsi al ruolo sociale per esso previsto. In questo sistema, maschile e femminile sono generi costruiti come opposti, complementari e rigidamente asimetrici: in tale sistema la femminilità – e tutt* coloro che vi si identificano o vi sono assegnat* più o meno forzatamente – deve rimanere inferiore, appropriabile, disponibile. In questo sistema, chi si rifiuta di riprodurre la maschilità egemonica o di identificarsi come donna nonostante l’assegnazione alla nascita è esclus* o chiamat* a rientrare negli stessi schemi rigidi del sistema binario per accedere a briciole di diritti. Senza riconoscimento e assimilazione non sembra esservi accesso a una piena cittadinanza.
Per questo crediamo che la violenza maschile sia violenza di genere e che a sua volta la violenza di genere sia generata dalla violenza DEL genere e cioè dall’imperativo sociale di (ri)produrre generi normativi e binari a sostegno dell’eterosessualità obbligatoria. Affermare questo non vuole dire annacquare il discorso sulla violenza maschile o perdere di vista le gerarchie e le relazioni di potere all’interno delle quali questo sistema ci posiziona in modo differenziale. Gli uomini cis e etero bianchi e cittadini non possono piangere, esprimere i propri sentimenti o amare i fiori, ma siamo noi – donne cis e trans, soggettività non etero e non cis – che rischiamo la vita in questa guerra che l’eteropatriarcato ci ha mosso. Al contrario, dire che la violenza di genere è prodotta dalla violenza del genere, significa alludere al fatto che non estirperemo per sempre la prima senza far saltare la seconda.
Come transfemministe queer non rifiutiamo affatto lo strumento del separatismo, ma anzi lo pratichiamo e ripensiamo, adattandolo alle complicità ed alleanze che troviamo nella lotta all’eteropatriarcato ed alla violenza di genere. Ci piacerebbe che per una volta le varie anime del femminismo si interrogassero non su chi è ammessa nel “noi donne” della pratica femminista, ma su chi è esclus* da quel “noi” quando questo è costruito intorno alla categoria di “donna cis bianca” e con quali conseguenze politiche: le donne trans*, a cui troppo spesso viene ancora negata piena appartenenza alla categoria “donna” anche da alcuni femminismi che non si fanno problemi a escluderci o a considerarci “non proprio donne”… o almeno “non donne quanto le “vere donne”; gli uomini trans*, che pur non essendo donne sono esposti a forme di sessismo e violenza patriarcale e che sono ammessi in certi spazi separatisti perché non riconosciuti nel proprio genere maschile, le persone trans* e non-binarie che non si identificano come donne (né come uomini), chi non si riconosce in nessun genere assegnato, chi sceglie di performarli entrambi a suo piacimento, chi reinterpreta maschilità e femminilità con l’obiettivo di confondere, sabotare, destabilizzare l’ordine sociale che si fonda in primis sull’appartenenza ad uno dei due generi imposti. Tutti coloro che si riconoscono nel genere maschile assegnato loro alla nascita, ma che lottano ogni giorno per costruire altre maschilità, non egemoniche, non violente, non patriarcali; tutt* coloro che scelgono di vivere una sessualità non eterosessuale o eteronormata, che costruiscono altre forme di intimità, con l’obiettivo di scardinare e minare le fondamenta della coppia monogamica e della famiglia eteropatriarcale.
Tutte queste soggettività, ovvero il “noi” del transfemminismo queer, e gli specifici sguardi e saperi sulla violenza di genere che nascono dai nostri posizionamenti, sono fondamentali nella lotta alla violenza maschile e al sessismo se non vogliamo dare di queste ultime una lettura etero/cis-normativa e binaria, che continuerà a mantenerne intatte le fondamenta e ci impedirà di autoroganizzarci e combattere per l’autodeterminazione di tutte, tutti e tuttu.
Siamo convinte che per sabotare il sistema che produce la violenza maschile bisogna deprogrammarne il codice binario e per far questo crediamo nell’importanza di costruire molteplici forme di infedeltà a tale sistema. Per questo siamo convinte che sia vitale moltiplicare le femminiltà degeneri, non etero o cis, queer, ribelli, insubordinate. Per questo siamo convinte che sia fondamentale continuare a costruire maschilità minoritarie non cis e non etero che non aspirino a elemosinare i dividendi del privilegio maschile ma a costruire forme di complicità transfemminista: altro che testa di ponte per portare il maschio alfa nel femminismo, noi siamo la bomba ad orologeria che farà saltare la maschilità egemonica!
Per questo crediamo che lo sciopero dei/dai generi sia un’arma potente. Pensiamo lo sciopero dai/dei generi come l’interruzione della (ri)produzione dell’ordine di genere – e dell’ordine sociale tout court – così come lo conosciamo. Lo pensiamo come il rifiuto di “fare il nostro lavoro” nella fabbrica dell’eteronorma. Lo pensiamo non come un invito a “smettere di essere donne” per chi si sente tale, ma come un’incitazione a incrociare le braccia di fronte all’imperativo sociale di riprodurre la femminilità normativa, a cui tutt* coloro che sono stat* assegnat* donne alla nascita sono chiamat* ad aderire, prestandosi gratuitamente, o pagate una miseria come le donne che lavorano come colf e badanti – nelle case così come sui luoghi del lavoro riconosciuto come tale. Il rifiuto di svolgere il lavoro di cura, affettivo e materiale e di riproduzione e naturalmente dell’eterosessualità e della maternità obbligatorie.
Lo pensiamo come un invito a fallire rispetto alle aspettative riservate a chi è letto come “uomo o aspirante tale”. Lo vediamo nel rifiuto di prestarsi a fare “la frocia creativa” che porta quel valore aggiunto all’azienda e media i conflitti e le tensioni o la lesbica su cui si può sempre contare in ufficio.
Infine, agli uomini cis e etero non chiediamo di scioperare dal loro genere: pretendiamo che si licenzino in tronco da ogni complicità col sessismo, che escano immediatamente dagli uffici rassicuranti della maschilità e li facciano saltare in aria prima che lo facciamo noi (con loro dentro). Pensiamo lo sciopero dei/dai generi come una strategia di attacco alle fondamenta della violenza maschile: per questo non può bastare un giorno, non può bastare la sottrazione.
L’otto marzo, per far strabordare lo sciopero dei/dai generi, ci piacerebbe moltiplicare in ogni dove le consultorie queer – che in questi anni abbiamo costruito in varie città. Le consultorie nascono dall’esempio storico dei consultori autogestiti che molte femministe hanno creato e attraversato 40 anni fa. Il rapimento istituzionale di questi spazi, fagocitati dalla logica del “servizio” alle donne e alle famiglie, ha portato in molti casi alla depoliticizzazione ed al depotenziamento di questi luoghi, ma non solo. Molti sono stati e vengono chiusi in seguito ai tagli al welfare e alla salute. La loro trasformazione in servizio per l’accesso a diritti riproduttivi, dalla maternità all’aborto, li ha resi vulnerabili alla penetrazione di movimenti per la vita e anti-abortisti creando alle donne e a tutt* i soggetti che li abitano non pochi problemi. Pensiamo le consultorie come momento di istituzione di un nuovo welfare dal basso, come infrastrutture autorganizzate che si riappropriano della riproduzione sociale delle soggettività. Pensiamo a spazi attraversabili gratuitamente e senza documenti, senza il bisogno di barrare M o F all’entrata, senza controllo dei visti o dei permessi di soggiorno. Luoghi s-confinati dove l’intersezione delle forme di discriminazione sulle nostre vite possa essere smascherata e combattuta insieme. Pensiamo a un luogo di alleanze e di “safety”. Le consultorie che abbiamo creato e che vogliamo far proliferare ovunque sono laboratori permanenti di decostruzione dei generi e delle sessualità a partire dall’incontro tra differenti soggettività, spazi di ripoliticizzazione della questione del genere, della sessualità, delle relazioni e del benessere, luoghi di costruzione di autorganizzazione e di resistenza ai dispositivi di controllo delle nostre vite e alla violenza.
Sogniamo di veder sorgere ovunque consultorie come spazi politici e/o fisici dai quali partire insieme per costruire forme di autorganizzazione contro la violenza maschile, l’egemonia bianca, il binarismo di genere e l’eterossessualità obbligatoria.
Ok Conte, abbiamo capito che ci tieni molto al binarismo dei generi, e al tuo genere in particolare.
Io sono assolutamente in disaccordo con l’idea che tutte le scelte e i posizionamenti di genere siano equivalenti, e assolutamente d’accordo con il SomMovimento NazioAnale che in tutti i post contenuti in questo blog (oltre che con le sue azioni) spiega molto bene il perché.
La tua insistenza è curiosa…
Femmine e maschi, uomini e donne (in maggioranza numerica cis e in minoranza transgender ma le persone trans sono sempre uomini e donne secondo il genere d’elezione) chi è femmina non è inferiore a chi è maschio. l’eterosessualità non è normativa di per sè, l’omofobia lo è e va combattuta
Chi è uomo o donna in questa cultura lo sarebbe anche in un’altra, perchè il ruolo è culturale, l’identità no,. anche la cultura con tutti i suoi cambiamenti fa parte della natura umana quanto la biologia, senza cultura così come senza biologia siamo morti.
Un uomo monogamo o poliamoroso,, coi capelli lunghi o corti, cisgender o trans, bisex o etero, gay o pansessuale resta un uomo libero e autentico. Stesso discorso per la donna
io non posso rinunciare al mio essere uomo e non voglio, il mio essere uomo fa parte di me e i mio modo di essere uomo diverso da quello di un altro uomo fa parte di me . Lo stesso vale per le donne cis etero, gay o trans. L’identità di genere non è una gabbia, il ruolo di genere può esserlo. Bisogna scioperare dai ruoli di genere, non dalle identità (che è impossibile)
ci sono tanti modi di essere uomini e donne e di esprimerlo, tanti modi quanti sono gli uomini e le donne nel mondo, modi più frequenti statisticamente e meno frequenti ma sempre genuini e legittimi, un uomo o una donna che si comporta e agisce in un certo modo non è per forza stereotipato, è consapevole e libero/a quanto un uomo o una donna che agisce in modo diverso. Un uomo dolce è sempre uomo quanto lo è uno insensibile, una donna aggressiva è sempre donna quanto una mite, e poi dolcezza e aggressività, forza e fragilità possono co-esistere nella stessa persona,talvolta. Una donna con la gonna è donna quanto una coi pantaloni, e così un uomo sempre tale a prescindere dal look