Sciopero! Strike! A statement from the transfeminist strikers of the CIRQUE conf (bilingual version)

Riceviamo & pubblichiamo da* scioperanti della conferenza CIRQUE

[Questo comunicato nasce come testo bilingue, ma per facilitare la lettura trovate la versione solo italiano qui e la versione solo inglese qui]

[this statement was born as a bilingual text but to make the reading easier we have a only-english version here and a only-italian version here]

Bilingual version:

Siamo trans*, lesbiche, camioniste, ricchioni, femministe, persone trans-queer nere. Siamo ricercatrici senza stipendio o con stipendi intermittenti, attivist*, performer, traduttrici, professori a tempo indeterminato cui l’accademia neoliberale rende la vita impossibe perchè troppo critici, troppo emotiv*, troppo soggettiv* o troppo “di nicchia”. Proveniamo da contesti geografici e culturali diversi.

We are trans, lesbians, butches, femmes, queers, feminists, trans-queers of color. We are wageless scholars or with intermittent wages, activists, performers, translators, tenured professors whose lives are made miserable by neoliberal academia for being too critical, too emotional, too subjective or too “niche”. We come from and live in different geographical and cultural contexts.

Sentiamo l’urgenza e il bisogno di condividere il racconto di come, all’interno di una conferenza accademica politicamente problematica come ce ne sono tante, ma forse un tantino peggio delle altre, ha preso corpo quella che per noi è stata una forma di SCIOPERO dal lavoro accademico precario, ma anche dal surplus di sfruttamento e alienazione che subiamo in quanto lavoratrici/-tori trans, lesbiche, froce, razializzate dell’industria accademica e della produzione culturale. Uno sciopero che vediamo in profonda connessione con lo sciopero internazionale delle donne dell’8 marzo.

We feel the need and the urge to share how, during a conference politically problematic as many others, but maybe a little bit worse than others, something emerged that we came to see as a form of STRIKE from precarious academic work, but also from the additional exploitation and alienation that we suffer as trans, queer, lesbian, racialized workers in the academic industrial complex and in the cultural production industrial complex. We see this STRIKE deeply connected to the 8th march women’s global strike.

Di tentativi di depoliticizzazione e appropriazione del queer ne abbiamo visti e ne vediamo tanti. Bisogna dire però che quello portato avanti nella conferenza organizzata a L’Aquila dal CIRQUE (Centro Interuniversitario di Ricerca Queer) dal 31 marzo al 2 aprile scorsi si è distinto per la sfacciataggine, la pretesa di legittimità, la violenza e la particolare rozzezza dell’operazione.

We witnessed many times people trying to depoliticize and appropriate “queer”, but we have to say that the way this was done in the conference in L’Aquila by the CIRQUE (Interuniversity Centre for Queer Research), from the 31st March till the 2nd April was worse than usual, in terms of sense of entitlement, violence and lack of sensitivity.

Così l’ultimo giorno della conferenza, esasperat* e stanch*, abbiamo scioperato dai panel ufficiali nei quali eravamo attes* chi come speaker, chi come pubblico: abbiamo occupato un’aula, e ci siamo pres* il tempo e lo spazio fisico e simbolico per una sessione di discussione transfemminista autonoma e autogestita.

The last day of the conference, we were drained and we had had enough. We striked from the official panel were we were supposed to be, some of us as audience, some of us as speakers, and we carved out the time and the physical and discursive space for a self-managed, autonomous transfeminist session.

Uno spazio in cui discutere fra soggettività diverse ma unite dal mutuo riconoscimento e dalla pratica politica del posizionamento. Uno spazio per far avanzare il nostro pensiero e con esso le nostre lotte. Uno spazio in cui non essere sempre riportat* indietro dall’ignoranza del privilegio dei gruppi dominanti.

We created a space in which we could discuss among different subjectivies, united by mutual recognition and the practice of politics of positioning. A space where we could advance our thoughts and therefore our struggles. A space where we could not be pushed back again and again by the ingnorance stemming from the privilege of dominants groups.

In questo modo, abbiamo scioperato dal lavoro pedagogico e di cura delle classi dominanti, quel lavoro non riconosciuto e non pagato che ci viene richiesto come dovuto ogni volta che subiamo violenza fuori e dentro l’università: ogni volta che ci si aspetta che spieghiamo con pazienza al povero etero pieno di buone intenzioni (o gay-cis bianco, o qualunque altra posizione di privilegio si dia nella specifica situazione) perché un certo comportamento ci offende ed è politicamente problematico; ogni volta che dobbiamo supplire all’ignoranza o soddisfare la curiosità delle persone “normali” come condizione per farci “accettare” – una situazione in cui la conferenza CIRQUE ci ha messo innumerevoli e insopportabili volte.

We interrupted the pedagogic labour, the emotional labour and the educational labour toward the dominant classes, that unrecognized and unpaid labour that is expected from us each time we suffer violence in and outside university, each time people expect us to explain carefully and patiently to the poor straight white male full of good intentions (or the white cis gay male, or any other subject in a position of privilege in the specific situation) why this or that behaviour of his hurts us and is politically problematic; each time we have to remedy the ignorance or satisfy the curiosity of the “normal” people as a condition to be “accepted”. The cirque conference put us in this situation many, too many and unbearable times.

Abbiamo scioperato interrompendo l’estenuante lavoro di cura delle pubbliche relazioni che dovrebbe servire a farci avere un domani l’ennesimo contratto sottopagato (forse). Ci siamo pres* invece il tempo e lo spazio per prenderci cura collettivamente di noi e dei nostri bisogni (e ne avevamo bisogno, dopo tutto quello che avevamo dovuto subire!).

We interrupted the exhausting work of networking that is supposed to be important in maybe getting us a job one day, maybe just another underpaid job. Instead we took the space and time to collectively take care of ourselves and OUR needs (and we needed it, after all the shit we went through).

Ci siamo sottratt* al dovere di “farci vedere”, dando invece consistenza e visibilità a tutto il lavoro invisibile che in continuazione dobbiamo ri-produrre.

We refused to comply with the imperative of “being visible”, instead we gave visibility to the invisible work that we re-produce all the time.

Abbiamo smesso di competere e sgomitare per ottenere il riconoscimento del nostro lavoro e ci siamo pres* uno spazio in cui scambiarci orizzontalmente riconoscimento e conoscenze basate sui nostri vissuti.

We stopped competing with each other to get the recognition of our work and we made space to exchange/share recognition among peers in a horizontal way, and to share knowledges embodied in our lives.

Questo spazio ce lo siamo preso e lo abbiamo difeso. Alcuni organizzatori della conferenza si sono presentati nella candida convinzione che anche quel tempo e quello spazio fossero destinati a interagire con loro; per loro era impossibile immaginare che lì, in quel momento, i privilegi potessero essere nominati, le relazioni di potere sfidate, la pedagogia interrotta, fino a farli sentire a disagio, fuori luogo, insopportabili, espulsi e farli uscire dalla stanza.

We un-occupied this space (we took this space ourselves) and we defended it. Some of the organizers showed up, naively convinced as they were, that even this time and this space were devoted to adressing them; for them it was impossible to imagine that in this space privileges could be named, power relationships challenged, pedagogy interrupted to the point that they would feel uncomfortable, in the wrong place, unwelcome, expelled, so that they had to get out the room.

Chiediamo migliori condizioni per il lavoro produttivo, affettivo e di cura non riconosciuto che svolgiamo per l’accademia. Già dobbiamo combattere quotidianamente contro le molteplici forme di oppressione che subiamo nella società: non abbiamo più intenzione di doverci ritagliare faticosamente il nostro spazio e svolgere questo lavoro di pedagogia continua anche in un ambiente che si proclama ‘friendly’ e ‘progressista’, e che invece si rivela ostile e violento.

We demand better conditions for this unrecognized, economic, affective and care labour that we produce for the academy. Given that we already have to resist multiple oppressions  in society, we refuse to have to make space and perform with difficulty unpaid labour in a supposedly “friendly” and “progressive” academic environment which proves instead to be hostile and violent.

Il nostro sciopero è uno sciopero contro la violenza epistemologica, contro il lavoro gratuito di spiegazione di sé e di educazione delle classi dominanti che ci viene estorto, contro la precarietà, lo sfruttamento e l’oppressione imposta alle lavoratrici/lavoratori della conoscenza, contro il razzismo, l’islamofobia e il pinkwashing. Ma se scioperiamo contro queste cose è perché hanno delle conseguenze materiali sulle nostre vite di persone queer, trans, precarie ben oltre l’università.

Our strike  is against the epistemic violence, against the unpaid and unrecognized labour, that is extracted from us, the labour of explaining oneself and educating dominant classes; against precarization, exploitation and oppression that academic workers suffer. Against racism and slamophobia and pinkwashing. We strike against these things because they have material consequences on our lives of queers, trans, precarious folks far beyond university.

Grazie alla solidarietà e alla creatività che ci hanno permesso di trasformare almeno in parte l’esasperazione, la rabbia e il dolore in un momento di resistenza, le nostre ferite stanno guarendo. Noi stiamo guarendo, ma perché chi ci ha ferito non sente il bisogno di mettersi in discussione e non viene messo di fronte alla responsabilità delle proprie azioni? Noi non staremo zitt*.

Thanks to the solidarity and creativity that allowed us to partially transform our irritation, anger and pain into a tool for resistance, friction is healing. We heal, but why do those who hurt us not see the need to question themselves or face accountability for their actions? We won’t shut up.

Il pensiero queer (o frocio, lesbico, ricchione..) e trans dentro e fuori dall’accademia è radicato nelle vite froce, nasce dai movimenti, e deve essere a supporto delle nostre vite e delle nostre lotte.

Queer and trans thought in and outside the academy is experience based and must support our lives and our struggles.

Non possono fermarci, resistiamo, scioperiamo, cospiriamo. Il patriarcato cis-sessista-abilista-capitalista-bianco-maschio-eterosessuale cadrà a pezzi e morirà e al suo posto sorgerà un meraviglioso mondo transfemminista queer.

Utimately, they can’t hold us down, we resist, we strike, we fight back. The cissexistableistcapitalistwhitemaleheteroptriarchy will crumble and die and a more beautiful transfeminist queer world will arise.

***

Per saperne di più: alcune “perle” dalla conferenza CIRQUE…

To know more: “the best of” the CIRQUE

Queer? La qualunque (tanto va bene tutto) / QUEER?: WHATEVER, ANYTHING GOES

Nell’intervento di apertura della conferenza, l’idea che il queer dovrebbe sganciarsi dalle soggettività e dai corpi lgbt per diventare uno strumento di decostruzione astratto, utilizzabile da chiunque per qualunque cosa, ci è stata spacciata come il nuovo orizzonte degli studi queer.

The conference’s opening speech proposed the idea that queer theory should be detached from queer bodies and queer subjectivites to become an abstract tool of deconstruction that can be used by anyone and for any purpose.

Mettiamo le cose in chiaro: come transfemministe siamo le prime a fare attivismo in gruppi composti da soggettività diverse, e pensiamo che il queer, come pratica politica e di conoscenza, può essere praticato da chiunque, a patto però di posizionarsi e di sapersi assumere la responsabilità e la parzialità del proprio posizionamento e del sapere che da lì si produce; a patto di saper riconoscere i privilegi, i punti ciechi, le complicità che derivano – anche tuo malgrado e a dispetto della tua grande buona volontà – da quel posizionamento. E a patto di riconoscere una genealogia che parte dalle esperienze incarnate di lesbiche razializzate, froce, camioniste, checche, travestite e trans*.

Tutto il contrario di ciò che è stato fatto, ed esplicitamente rivendicato dagli organizzatori della conferenza dell’Aquila.

Bisogna essere chiari sugli interessi che ci spingono a studiare determinate esperienze che non sono la nostra. Rifiutiamo ogni tentativo di ricodificare la neutralità sotto falso nome. Chi può parlare per chi? A beneficio di quali interessi? Il punto, evidentemente, non è che puoi studiare le/i trans solo se sei trans, ma che senza politica del posizionamento anche il sapere più critico e apparentemente sovversivo torna ad essere uno strumento nelle mani delle classi dominanti. La conferenza CIRQUE ce ne ha dato innumerevoli esempi.

We want to make it clear: as transfeminists we are doing activism in groups in which different subjectivities are present, and we think that queer, as a political and epistemic practice, although generating from the embodied experiences of racialised lesbians, queers, butches, queens, trasvestites and trans people, can be practiced by anyone at one condition – that you position yourself and recognize the privileges, the blind spots, the collusions that stem from your position despite your good will.

The opposite of what has been done and explicity claimed by the conference organizers.

You have to be clear about the interests that move you to study certain experiences that are not yours. We have had enough of all these attempts to recodify neutrality under false names. Who can speak for whom? For the benefit of which interests? The point is clearly not that you have to be trans to study trans people, gay to study gay people etc. but that without politics of positioning even the most subversive and critical knowledge becomes again a tool in the hands of dominant classes. Cirque gave us plenty of examples in this direction.

Durante la conferenza, abbiamo visto utilizzare il termine “queer” per designare qualunque cosa vagamente non normativa, qualunque pratica che apparisse “trasgressiva” agli occhi del ricercatore, qualunque prospettiva critica su questo o quell’argomento (del tipo, “queerizzare questo e quello”), senza nessuna svolta queer nella metodologia, così che qualunque cosa potesse essere legittimata fintanto che “scientificamente” accreditabile.

Throughout the conference, we have witnessed the term “queer” being used as a signifier to characterize anything vaguely non-normative, any critical perspectives on x or y field or topic (queering this, queering that…), and in particular, practices that seemed “transgressive” (whatever that means) to the researcher’s eyes. But their conservative and still straight epistemological framing and methods were never adressed. All the contrary: they were kept in place in order to pass as “scientific”.

“Queer” è ritornato a significare ciò che è scioccante, strano, ciò che la moralità vede come raccapricciante. Questo uso manipolatorio del termine “queer” mostra il pericolo di scivolare verso atteggiamenti queerfobici o anti-queer. Ma non è esattamente un atteggiamento anti-queer che informa questo tipo di interpretazione del queer? È chiaro che la ragione più ovvia per questo tipo di scorciatoie è il fatto che per l’occhio etero accademico, “queer” rappresenta un concetto di nicchia ricercato da pochi, che lo rende “intrigante” e “figo”.

“Queer” went full circle, essentially going back to a shocking word for the “strange” and “what morality sees as creepy”. This kind of tokenistic and manipulative use of “queer” shows the danger of slipping back into queerphobic or anti-queer attitudes. Or isn’t it precisely an anti-queer attitude that informs that kind of interpretation of queer? It’s clear that the most obvious reason for such smokescreens and shortcuts is that to the straight academic eye, “queer” is another obscure niche that no one’s looking at, which makes it “edgy” and “cool”.

Per esempio, alcune presentazioni alla conferenza hanno utilizzato il termine “queer” per accreditare indirettamente motivazioni per il sesso intergenerazionale non consensuale. Mentre studiare la pedofilia può essere una cosa legittima, in questi casi specifici era davvero poco chiaro perché ci si appellasse a questa accezione di queer come significante di qualsiasi cosa. Per di più senza riguardo per le implicazioni etiche di tale prospettiva, e nella completa non considerazione dell’esperienza delle persone che avevano subito abusi da piccol* presenti nel pubblico, tutto ciò anche dopo che queste sono intervenut* nel dibattito.

For instance, some presentations in the conference used “queer” to indirectly or tacitly bring in arguments about non-consensual, intergenerational sex. While studying paedophilia can be a legitimate endeavour, it was unclear, in these specific cases, why the talks would be conflated with queer anything. This, of course, without regard for the ethical implications of such an outlook, and with contempt for the complete erasure of survivors in the audience, even *after* they have spoken out.

Il titolo della conferenza era “Cosa c’è di nuovo negli studi queer?”. Ma niente di nuovo può arrivare da chi non sa nemmeno di cosa sta parlando. Eppure, cosa ci dice questo titolo a proposito del significato di “queer”? Chi è legittimato a chiamare la propria ricerca queer? Chi ha improvvisamente interesse a strombazzare di fare “ricerca queer”? Queste sono le vere domande dietro “cosa c’è di nuovo nei queer studies”.

“What’s new in Queer Studies?” was the title of the conference. It was but a lure: nothing is new from those who have no idea what they’re even talking about! But what does that say about the meaning of “queer”? Who is legitimate to call their research queer and who is now claiming queer studies? These are the real question behind “what’s new in queer studies”.

Conosciamo bene il desiderio dell’accademia di capitalizzare il queer, le esperienze e i corpi trans*- e in particolare le trans povere e nere. Abbiamo conosciuto e viviamo ancora sulla nostra pelle cosa significhi diventare oggetti di studio spersonalizzati, abbiamo visto in tutti questi anni le nostre pratiche di lotta e resistenza ridotte a pura estetica depoliticizzata, continuiamo a vedere come i pensieri che produciamo insieme alle nostre comunità ci vengano sottratti per diventare materiale e dati per speculazioni teoriche che saranno poi rivendute come “produzioni scientifiche”.

In Italia, in particolare, in questo momento è in atto un vero e proprio tentativo di imperialismo epistemologico: cancellate le esperienze di dissidenza dai generi ed eccentricità in cui cui siamo cresciut* come attivist* e pensator.ici queer (o froce, o ricchione) oggi l’accademia italiana si affanna a dimostrare di essere all’altezza degli standard anglofoni, producendo una norma di ciò che il “queer” dovrebbe essere e riproducendo le proprie gerarchie anche in questo spazio.

We know too well the desire of accademia to capitalize on queer and the experiences and the bodies of trans* people – in particular of poor trans women and trans women of colour. We know through our own skin how it feels to be treated like dehumanised objects of study. Our practices of struggle and resistance are reduced to mere depoliticized aesthetics. The thought we produce in our communities are stolen and become raw material and data for theoretical speculations that will be marketed as “scientific productions”.

In Italy in particular, in this moment there is an attempt to carry on epistemic imperialism: italian academia is trying to erase the experiences of gender dissidence and eccentric sexuality in which we grew up as queer activists and scholars, and to demostrate that it can catch up with the anglophone standards, thus producing a norm of what queer is or should be and reproducing its own hierarchies in this space.

Il paradigma indiscusso della bianchezza: razzismo culturale a 360 gradi / WHITENESS UNQUESTIONED, CULTURAL APPROPRIATION, RACISM ALL OVER

La conferenza era satura di bianchezza, appropriazione culturale e appropriazione della produzione intellettuale del femminismo nero e postcoloniale.

Relatori bianchi si sono appropriati del concetto di razza (“trans-race”) semplicemente perché fa figo, spesso grossolanamente travisando argomenti o usando citazioni selettive per manipolare i testi per i loro fini, in contrasto con gli scopi esplicitamente sostenuti dalle/dai scrittrici/scrittori nere/i e postcoloniali. Perché non c’erano persone nere alla conferenza, mentre le persone bianche che reclamano un’identità nera sono viste come l’avanguardia della sovversione anti-identitaria?

The conference was saturated with whiteness, cultural appropriation, and the appropriation of the academic work of women of colour.

White panellists appropriated race to look “cool” (‘trans-race’), often grossly misrepresenting arguments, or using selective quotation to make texts work for their own means contrary to the arguments of the writers of colour they were citing. Why were there no Black people in the conference, while people who have appropriated Blackness are said to be transgressive?

Allo stesso tempo è stato affermato che l’atto di performare le altre culture è radicale perché (citando un professore cis etero bianco alla conferenza) “queer è performatività per cui anche la razza puo essere performata”. La sola persona evidentemente non bianca presente alla conferenza, una donna trans, ha dovuto spiegargli perché la performance sull’indian face (due ragazze bianche che perfomavano un’immaginaria quanto orientalista India) fosse un’appropriazione culturale estremamente offensiva e razzista. Nononstante ciò lui non ha voluto ascoltarla e ha continuato a interromperla.

Meanwhile it was claimed that performing Othered cultures is radical because (quoting a cis straight white man at the conference) “queer is about performance so race too can be performed”. The only visible person of colour, a trans woman of colour, in the conference had to explain imperialism/colonialism to him – to explain why an “indian face” performance (two white women performing an imaginary and orientalist India) is a cultural appropriation extremely offensive and racist. And he would not listen, kept interrupting her; he simply would not hear.

E ovviamente non poteva mancare un tocco di islamofobia, nel momento in cui, con l’intento falsamente neutro di “problematizzare” e “riflettere”, in nome della libertà di parola si tendeva a legittimare il discorso islamofobico e a delegittimare l’attivismo queer anti-islamofobico, facendo passare per innocente il meccanismo per cui la figura di una persona lgbt ex-musulmana viene usata per mettere a tacere voci musulmane e queer, e voci queer mussulmane. L’islamofobia ha preso corpo nelle parole di uomini bianchi che hanno usato la presunta “oppressione delle donne e delle/dei froci/e” nell’Islam a supporto del proprio privilegio.

The conference was rife with islamophobia, with the trope of the ‘former muslim’ lgbt person being used to silence queer and muslim and queer muslim voices. ‘Freedom of speech’ was used to ‘pinkwash’ Islamophobic hate speech and muslim-bashing. Pink Islamophobia manifested in white males using Islam’s supposed ‘oppression of women and queers’ to bolster their own privilege.”

Fenomeni da baraccone: patologizzazione e sessualizzazione delle/dei trans* / FREAKS IN THE CIRCUS: PATHOLOGIZING AND SEXUALIZING TRANS* FOLKS

Le presentazioni su tematiche trans* italiane o da parte di panelist trans italian* (nello specifico, si trattava solo di persone che si identificavano nello spettro del maschile) sono state per lo più collocate nelle sessioni intitolate “Sessualità”. Come noto, l’etichetta “sessualità” è molto problematica per molte persone trans, si rifà al linguaggio medico e mostra una non comprensione delle soggettività ed esperienze trans.

Presentations about Italian trans issues and/or by Italian trans panelists – in the specific case we had only people who self-identified as transmales – were mostly placed in the “Sexualities” panels. The label “sexuality” is very problematic and triggering for many trans people: it shows a miscomprehension of trans experiences and bodies stemming from a medicalised frame of reference.

Inoltre, vogliamo sottolineare la totale assenza di donne trans italiane alla conferenza, mentre abbiamo assistito alla presentazione di una ricerca su una comunità di donne trans da parte di una ricercatrice cisgender che si è distinta per la quantità di transmisoginia, classismo, puttanofobia e paternalismo che ha espresso, e per la corrispondente quantità di rabbia che ha causato alle persone trans, queer e femministe alleate presenti nel pubblico.

We also want to remark the complete absence at the conference of trans women and transfeminine people from Italy  contrasting it with the presence of a paper on trans women (by a cis female researcher) that was incredibly transmisoginist, whorephobic, classist and paternalist and raised the rage of the trans queer and feminist people in the audience.

Quando le è stato esplicitamente chiesto di situarsi rispetto all’oggetto della sua ricerca, la ricercatrice ha addirittura argomentato il suo senso di legittimità e di competenza in materia dicendo che “sono una delle poche non apparteneti alla comunità LGBT che stanno studiando queste persone” e che uno sguardo esterno è necessario per fare ricerca, mentre la chair del panel chiedeva alle persone trans* presenti in aula di portare pazienza e di “insegnarle”.

When we asked the presenter to position herself with respect to the subject of her research, the panelist affirmed her sense of entitlement and ‘objective’ expertise on the subject by saying “I’m one of the few non LGBT persons that is studying ‘these people'”. She went on saying that an external gaze is necessary for carrying on research. In the meanwhile the chair of the panel was asking trans women in the room to be patient and to educate the panelist.

Il sapere prodotto e legittimato dalla conferenza CIRQUE, nel contenuto come nelle modalità, lungi dal contribuire a contrastare o a criticare l’oppressione delle soggettività trans*, ne ha riprodotto alla perfezione i meccanismi: le femminilità trans sono state ipervisibilizzate, ridotte a feticcio e a mero oggetto di studio e di discorso altrui; le mascolinità trans sono state per lo più neutralizzate e invisibilizzate; le une e gli altri vengono esclus* e espuls* dalla scuola e dall’università, o inclus* a prezzo di sofferenza, marginalizione.

The knowledge produced and legitimized by the CIRQUE conference, the content and the practices dysplayed within it, did not contribute to contrast oppression toward trans* subjectivities in general, and Italian ones more specifically. On the contrary, mechanisms pushing trans oppression and specific to the Italian context were reinforced: transfemininities were fetishized, they were made supervisible as non trans people’s “object” of study, as objects of a speech not centered on their words; transmasculinities were erased and invisibilized. This happens in a cultural context (the Italian one) were all trans people are erased, excluded from educational settings or included but with a high price to pay: microaggressions, marginalizations, overworking and liability to be blackmailed.

NO ID, NO WI-FI ! : ADMINISTRATIVE VIOLENCE /Niente carta d’identità, niente WI-FI. La violenza amministrativa

Il cosiddetto comitato organizzatore della conferenza CIRQUE è arrivato perfino a chiedere ai/le partecipanti di fornire in anticipo una copia della loro carta di identità (ebbene sì!) per ottenere l’ accesso alla rete wi-fi durante la conferenza. Invece di vantarsi di aver scelto l’Aquila come sede della conferenza, forse gli organizzatori si sarebbero dovuti ricordare della violenza amministrativa che viene esercitata attraverso le carte di identità, sia sulle persone trans* sia sulle vittime del terremoto del 2009, confinate in campi gestiti da militari, sottoposte a coprifuoco e costrette a mostrare i propri documenti per entrare e uscire dai campi.

The so called organizing committee dare asking participant to provide beforehand with a copy of their ID (yes ID!) to get wifi access during the conference. Instead of showing off with the picking of L’Aquila as a location for the conference, maybe the organizers should have remembered about the administrative violence that comes with ID papers – be it for trans folks, or the victims/survivors of the L’Aquila earthquake in 2009, who ended up confined in camps ran by the military, subject to curfew and having show their papers to get in and out of the camp and at military checkpoints around the city.

Problemi di traduzione. Accesso negato ai non-anglofoni?

La traduzione non è mai stata menzionata né prevista durante tutta la conferenza. La traduzione è per noi una questione non solo linguistica, ma politica. Attraverso la barriera linguistica si sono messe a tacere ulteriormente le voci dissidenti. Così l’accademia italiana si affanna a dimostrare di essere all’altezza degli standard internazionali anglofoni, e nell’organizzare una conferenza in Italia – rivendicando la scelta dell’Aquila, la città che rinasce dal terremoto ecc. – ha più a cuore l’accessibilità delle presentazioni ad un pubblico anglofono rispetto a quello locale, in un’ottica colonialista/monolingue succube dell’imperialismo linguistico inglese.

La traduzione andrebbe vista in un’ottica di scambio più profondo fra lingue, culture e contesti intellettuali diversi, e non come un orpello aggiuntivo non necessario e non degno di essere retribuito, che ha portato gli organizzatori a dire che “non ci sono soldi per la traduzione” senza interrogarsi su altre possibilità. Perché la necessità della traduzione non è considerata, per esempio, al pari del catering o della cartellina da distribuire a inizio conferenza?

Translation issues were never mentioned and translation was not provided during the conference. The question of translation is not only a matter of linguistics but also of politics. Through the language barrier dissident voices were further silenced. The Italian Academy strives to prove to be up to international Anglophone standards, so that in organising a Conference in Italy is more concerned with the accessibility of the presentations to an English speaking audience rather than to a local one, in a colonialist and monolingual perspective, influenced by English linguistic imperialism. All this despite the fact that the choice of l’Aquila as location bears a strong focus on local history and hinted at notions such as rebirth from the ruins of the earthquake.

The translation should be seen in the perspective of a deeper exchange between languages, cultures and intellectual contexts, and not like an additional unnecessary frill not worthy to be paid for, that made the organizers say that there was no money for the translation without interrogating themselves on alternative possibilities. Why is the issue of translation not considered at the same level of catering or the conference pack distributed at the beginning of the conference?

La violenza del sistema / SYSTEMIC VIOLENCE

Questa conferenza è stata un’ulteriore manifestazione della violenza che subiamo tutti i giorni, dei colpi che riceviamo fuori e dentro l’università. Gli organizzatori hanno riprodotto ogni tipo di gerarchia, ignorando il fatto che siamo (più) precarie proprio a causa delle oppressioni del sistema e delle gerarchie accademiche. L’essere queer e trans ci relega al fondo della catena alimentare. Il fondo della catena alimentare ha bisogno di mangiare. Vogliamo essere pagat* per il lavoro che facciamo. Renderemo visibile il lavoro invisibile. Sciopereremo ancora.

This conference was another manifestation of the violence levelled at us everyday, of the hurt we experience in the world, in the academy too. The organisers reproduced every kind of hierarchy, ignoring the fact that we are precarious because of systemic oppressions and academic heirarchies. Our queer and transness puts us towards the bottom of the food chain. The bottom of the food chain needs to eat. We want money for the work we have undertaken. We will make visible the invisible work. We will strike again, whenever it is necessary.

Transfemministe in sciopero dalla conferenza CIRQUE (L’Aquila, 31 marzo- 2 aprile 2017)

Transfeminist strykers from the CIRQUE Conference (L’Aquila, 31st march – 2nd april 2017)

contatti: andystrikes2[ a t ]gmail[punto]com

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